Architettura del sonno in un nuovo studio

 

 

ROBERTO COLONNA & LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 21 aprile 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’esame EEG che ha consentito di definire le fasi del sonno rappresenta da oltre 70 anni un riferimento metodologico fondamentale per lo studio della fisiologia cerebrale e, fino all’introduzione delle moderne metodiche di neuroimmagine, una delle poche possibilità per esplorare la funzione del cervello umano in vivo. Il paradigma elettrofunzionale del sonno REM e non-REM (NREM), contrapposto a quello della veglia, ha rappresentato un punto di partenza fondamentale per lo studio dei correlati cerebrali delle principali esperienze psichiche, dal sogno alla coscienza.

Lo schema dei correlati elettrici degli stadi, o fasi del sonno, nel loro succedersi ciclico nel corso della notte intera, delinea la cosiddetta architettura del sonno. Tale configurazione funzionale è influenzata da variabili biologiche, comportamentali e cliniche. Un problema di attualità in questo campo della ricerca è rappresentato dalla difficoltà di registrare gli aspetti dinamici del sonno. Infatti, la consueta valutazione della struttura del sonno basata sulla stima delle proporzioni in cui si presentano le fasi, non riesce a catturare la dimensione dei caratteri fenomenici in evoluzione.

Yetton e colleghi hanno quantificato l’impatto delle differenze individuali sulle dinamiche dell’architettura del sonno e hanno cercato di determinare i fattori che consentono di prevedere al meglio le caratteristiche della fase successiva del sonno, sulla base delle informazioni della fase corrente.

(Yetton B. D., et al., Quantifying sleep architecture dynamics and individual differences using big data and Bayesian networks. PLoS One  13 (4):e0194604 - Epub ahead of print - doi: 10.1371/journal.pone.0194604, eCollection, 2018).

La provenienza degli autori è la seguente: Princeton Neuroscience Institute, Princeton University, Princeton, New Jersey (USA); Department of Psychology, University of California at Irvine, Irvine, California (USA); Department of General Psychology, University of Padova, Padova (Italia); Department of Computer Science, University of California at Riverside, Riverside, California (USA).

Anche se i fisiologi continuano a ritenere che la funzione del sonno sia sconosciuta, nonostante le prove di tante funzioni vitali che necessitano di questa condizione di particolare attività cerebrale accompagnata da un assetto corporeo di riposo motorio, a noi piace sottolineare che lo studio del paradigma sonno-veglia, dal quale ha preso le mosse lo sviluppo dell’intero campo della cronobiologia, costituisce un importante riferimento per comprendere la fisiologia degli organismi in rapporto al mondo esterno e alle esigenze interne. Senza dormire non si sopravvive, e gli stessi automatismi vitali del sistema nervoso autonomo hanno bisogno del re-setting che si verifica durante il sonno, quando i pesi sinaptici delle memorie del giorno appena trascorso sono rivalutati ed armonizzati al piano delle esigenze neuropsichiche dell’individuo[1]. È vero che, se poniamo la questione del sonno e del sognare nei termini culturali del significato, come fanno David A. McCormick e Gary L. Westbrook nel capitolo 51 dei Principles of Neural Science[2], possiamo facilmente rilevare un’impasse storica che va dall’Atene del V-IV secolo a.C., quando Platone riteneva che i sogni rivelassero dei desideri senza legge ed Aristotele considerava l’attività onirica il semplice portato di esperienze e pensieri della veglia, fino al secolo scorso. Infatti, Freud sembra non discostarsi molto da Platone, attribuendo ai sogni il valore di desideri inconsci, contro il pensiero medico prevalente, che si può accostare a quello di Aristotele, considerando la produzione onirica una conseguenza di esigenze funzionali dell’organismo e di esperienze precedenti il sonno.

Tuttavia, nonostante l’autorevolezza della fonte, impiegata nella didattica neuroscientifica universitaria in tutto il mondo, riteniamo sia più corretto ed utile mantenere l’aurea distinzione della fisiologia tra sonno, quale stato dell’organismo esplorato soprattutto mediante rilievo elettrofunzionale dell’attività cerebrale, e sogno, quale fase desunta indirettamente da indici, la cui analisi nei contenuti di esperienza e narrativi si realizza con i metodi della psicologia.

La natura dicotomica del sonno umano era stata già intuita nel 1961[3] e, poco dopo, chiaramente definita ad opera di Oswald[4] e Snyder[5]: un sonno caratterizzato dai rapidi movimenti dei globi oculari (REM, da rapid eye movements), noto già dagli anni Cinquanta, ed un sonno ad onde lente con fusi nel tracciato EEG, privo di questa caratterizzazione (NREM, da non-REM) ed associato a respirazione lenta e profonda. Le due ipotesi che hanno guidato la ricerca da quell’epoca ai giorni nostri possono così essere rese in sintesi: 1) esistono due tipi elettrofisiologici di sonno con funzioni presumibilmente diverse; 2) la fase REM del sonno umano non differisce in modo significativo da quella di altri mammiferi, pertanto il suo studio comparato può fornire dati interessanti per comprendere il fenomeno nella nostra specie[6].

Attualmente, per descrivere il sonno quantitativamente e per distinguerne le fasi, si adoperano costantemente tre tecniche di registrazione elettrofisiologica: l’EEG (elettroencefalogramma) per lo studio dell’attività elettrica cerebrale, l’EOG (elettro-oculogramma) per il rilievo dei movimenti oculari, e l’EMG (elettromiogramma) per il rilievo del tono muscolare. Tali tre misure sono nella routine pluridecennale perché facili da rilevare, affidabili e dotate di potere discriminativo.

Basandosi su queste misure, il sonno è suddiviso in cinque fasi o stadi: gli stadi da 1 a 4 appartengono tutti al tipo NREM, lo stadio 5 corrisponde al tipo REM. Lo stadio 1 costituisce la transizione dalla veglia al sonno; lo stadio 2 è la prima vera fase di sonno, contraddistinta da onde a fusi di 7-15 Hz e complessi-K, che riflettono oscillazioni sinaptiche sincronizzate nel talamo e nella corteccia cerebrale. Lo stadio 3 si riconosce per la comparsa di una significativa frazione di onde delta (0.5-4 Hz), che segnalano un’ulteriore riduzione di attività nei processi di risveglio nel cervello e una maggiore sincronizzazione talamica e corticale. Quando le onde delta superano il 50% del tempo dell’EEG il sonno è nello stadio 4, la fase più profonda.

Ogni volta che ci si addormenta, si procede abbastanza rapidamente dalla veglia alla quarta fase, generalmente entro i 30 minuti. Dopo aver trascorso all’incirca mezz’ora nello stadio 4, si procede rapidamente a ritroso attraverso le quattro fasi ma, invece di svegliarsi, si entra nella fase REM.

La fase caratterizzata da brevi movimenti di oscillazione dei bulbi oculari (REM), evidenti sotto le palpebre chiuse e perfettamente caratterizzati dalla registrazione EOG, fu scoperta nel 1953 da Eugene Aserinsky e Nathaniel Kleitman, che per la prima volta registrarono contemporaneamente EEG ed EOG in volontari adulti addormentati e rilevarono che, durante il sonno, 4 o 5 volte per notte si rilevava un incremento di attività, con onde di frequenza più elevata ed ampiezza ridotta, vicine a quelle della veglia ed associate ai caratteristici movimenti degli occhi. Da allora, si è sempre confermato che le persone risvegliate durante la fase REM, in percentuali che vanno dall’80% al 95%, riferiscono di stare sognando, e generalmente descrivono sogni vividi.

La fase REM è associata ad una quasi completa perdita del tono muscolare, dovuta alla prevalenza dell’azione inibitoria discendente sui motoneuroni spinali. I motoneuroni del tronco encefalico, che controllano i movimenti degli occhi nella fase REM, non sono inibiti. La temperatura corporea, in questa fase, raggiunge il livello più basso.

Il ciclo del sonno, dallo stadio 1 al sonno REM, si verifica più volte durante la notte, e, col passare delle ore, la profondità del sonno NREM si riduce mentre la durata della fase REM aumenta. Per effetto di questo schema funzionale e perché è necessario risvegliarsi per poter richiamare alla coscienza il contenuto delle esperienze oniriche, i sogni del mattino sono quelli più facilmente ricordati.

Negli adulti la fase REM occupa approssimativamente il 25% del tempo totale trascorso a dormire. A differenza di quanto si credeva in passato, i sogni si verificano sia nella fase REM sia nella fase NREM, con caratteristiche diverse. I sogni REM sono in genere di lunga durata, costituiscono un’esperienza sostanzialmente visiva, con frequenti contenuti affettivi e/o emotivi, e generalmente non presentano una connessione immediatamente rilevabile con esperienze della vita quotidiana di colui che ha sognato. I sogni NREM sono più brevi, meno visivi, con minore probabilità di contenuti affettivo-emotivi, più concettuali e in rapporto spesso evidente con contenuti ed esperienze attuali nella veglia. Secondo alcune stime, un’attività onirica simile al pensiero può occupare fino al 50% del sonno NREM.

Il sonno è regolato da un ritmo circadiano e da un ritmo ultradiano: il circadiano è basato sulla ciclica produzione di fattori di trascrizione nucleari; l’ultradiano è controllato dal tronco encefalico.

Fatte queste premesse a beneficio di studenti e lettori non specialisti, ritorniamo all’oggetto dello studio qui recensito.

Come si notava all’inizio di questo scritto, da tempo si è soliti riferirsi allo schema generale (pattern) seguito dai cicli dei cinque stadi nel corso di una notte con la definizione di architettura del sonno. Si tratta di una configurazione funzionale che corrisponde ad una “fotografia” dei tracciati EEG, EOG ed EMG, necessariamente espressa in una forma di struttura e, per questo, statica. Si sa che tale “architettura” è influenzata da variabili biologiche, comportamentali e cliniche; tuttavia, non si riesce ad andare molto oltre il rilievo di un quadro rapportato al tempo della registrazione, che consente di misurare le proporzioni relative degli stadi del sonno. In tal modo, è difficile il rilievo di ciò che si presenta in evoluzione e che richiederebbe di essere studiato come fenomeno dinamico. Il valore principale dello studio qui recensito consiste nella quantificazione dell’impatto delle differenze individuali sulle dinamiche dell’architettura del sonno, e nel tentativo di riconoscere i fattori o un determinato set di fattori che consenta di prevedere, sulla base delle informazioni della fase corrente del sonno, le caratteristiche della fase seguente.

Yetton e colleghi hanno indagato le possibili influenze di età, sesso, indice di massa corporea, parte temporale della giornata e rilievi più specifici ricavati da una grande banca di dati, ottenuti dalle registrazioni su una popolazione non clinica per 3202 notti. In particolare, i rilievi più specifici hanno riguardato misure temporali dell’architettura del sonno:

1) misure statiche, quali i minuti di durata della fase elettrofunzionale o l’efficienza del sonno;

2) misure dinamiche, quali le probabilità di transizione e la distribuzione della durata delle fasi.

L’analisi dei dati (multi-level regressions) mostra che il sesso interessa la durata di tutte le fasi NREM e l’età presenta una relazione secondo un andamento curvilineo per la veglia dopo l’insorgenza del sonno (WASO, wake after sleep onset) e i minuti di sonno ad onde lente (SWS, slow wave sleep). La realizzazione di modelli di reti bayesiane[7] rivela che l’architettura del sonno dipende dall’ora del giorno, dal tempo totale trascorso a dormire, dall’età, dal sesso, ma non dall’indice di massa corporea. Gli adulti più anziani, e particolarmente i maschi, hanno più brevi tratti (maggiore frammentazione) dello Stadio 2, SWS, e la loro transizione verso queste fasi è meno frequente. Gli autori dello studio dimostrano anche che la fase successiva del sonno e la sua durata possono essere predette in un modo ottimale dai due stadi precedenti e dall’età.

In conclusione, i risultati dello studio, per il cui dettaglio si rimanda al testo integrale dell’articolo originale, dimostrano il valore di un approccio basato sulle reti bayesiane e su una imponente mole di dati.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna & Lorenzo L. Borgia

BM&L-21 aprile 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] La nostra società scientifica, fin dalla sua fondazione, segue con interesse gli sviluppi della ricerca in questo campo: si veda, ad esempio, “Sonno e Memoria” e “Memoria e Sonno”: schede introduttive pubblicate nella sezione “AGGIORNAMENTI” del sito.

[2] Cfr. Kandel E. R., Schwartz J. H., Jessel T. M., Siegelbaum S. A., Hudspeth A. J. (eds), Principles of Neural Science, p. 1140, Fifth Edition, McGraw Hill, 2013.                                                                                                                                                                                

[3] Dement W., Eye Movements During Sleep, in Bender & Morris (eds), The Oculomotor System. Harper & Row, New York 1964.

[4] Oswald I., Sleep Mechanisms: Recent Advances. Proceedings of the Royal Society of Medicine 55: 910-912, 1962.

[5] Snyder F., The New Biology of Dreaming. Archives of General Psychiatry 8: 381-391, 1963.

[6] Tradizionalmente la fase REM è stata associata al sogno, e a lungo si è creduto che i sogni avessero luogo solo in fase REM.

[7] Le reti bayesiane sono modelli grafici della conoscenza in un dominio incerto. Basandosi sulla regola di Bayes, esprimono relazioni di dipendenza condizionale (archi) tra le variabili in gioco (nodi).